Che cosa condividere. Parte 1

In età adulta, io non ho ancora capito di cosa si dovrebbe parlare con le persone, dal vivo o sui social, perché si possa instaurare un rapporto costruttivo e perché nessuno si senta offeso (o quantomeno, non succeda troppo spesso…). Analizziamo la questione. Volutamente non faccio esempi pratici (almeno non subito) perché poi si rientrerebbe nella discrezionalità di ciascuna questione.

Primo caso: la risposta.

Sto parlando con una persona, che mi racconta del suo problema A. (Per parlare, non per chiedere aiuto immediato: questa sarebbe un’altra questione). Cosa posso rispondere?

Risposta 1) “Ti capisco. Anch’io ho avuto problemi con B” (laddove B è molto simile ad A ma meno grave). Se rispondo così sottintendo “Se per me è stato un problema B, come sei coraggiosa ad affrontare A!”. MA l’altra persona può pensare “E che ci vuole! Mica è la stessa cosa!” e si può offendere.

Risposta 2) “Ti capisco. Anch’io ho avuto problemi con C” (laddove C è molto simile ad A ma più grave). Tendenzialmente io non risponderei così, però può capitare se, appunto, è vero ed è attinente all’argomento trattato (cioè il problema C ha qualcosa in comune con il problema A, non è semplicemente “un’altra cosa grave”). In questo caso non sottintendo niente, ma per me è un modo di aprirmi e condividere. MA l’altra persona può pensare “Ecco, dobbiamo fare a gara a chi ha i problemi più grossi?” e si può offendere.

Risposta 3) … non parlo del mio vissuto, ma ascolto ed eventualmente faccio domande rigorosamente sull’esperienza della persona che mi sta parlando. Non credo in questo caso la persona si possa offendere, ma a me sembra un “di meno”, un’occasione mancata di confronto.

Ora, se nel caso di una conversazione dal vivo davanti a una tazza di tè / birretta probabilmente ce la possiamo fare a usare senza troppi effetti collaterali le risposte 1 e 2, questo sarà più difficile in una conversazione nel gruppo mamme classe prima su Whatsapp o su un post di un’amica di FB. (C’è anche da considerare che è diverso se l’esternazione del problema A avviene a me personalmente o in modo pubblico). Come comportarsi in questi casi? Davvero il silenzio e/o il cuoricino sono l’unica scelta possibile?

Secondo il sempre valido principio “Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”, io spesso adottavo le risposte 1 e 2 perché personalmente, in varie occasioni, sono stata molto contenta di ricevere confidenze dalle persone dopo una piccola apertura/”lamentela” da parte mia. Ma vedo che non è così per tutti, e forse sono addirittura (ehm) in minoranza.

Proseguirò in un altro post con la parte 2, che avrebbe dovuto venire prima: la lamentela vera e propria (cioè l’esposizione del problema A).

Ah ecco

Bene, quindi visto che avevo deciso di iniziare a bloggare nel 2020, quale momento migliore del 10 giugno? Circa cinque mesi dopo aver creato il blog. Not bad.

A portarmi qui è la App Immuni (che non so ancora se serva, probabilmente sì, ma finché mi avvisa solo se sono stata in contatto con un abruzzese e io vivo nel profondo Nord, poco mi aiuta; gli arrosticini comunque mi piacciono molto).

No, ecco, quello che mi porta qui sono le polemiche sulla famigerata immagine di donna col neonato e uomo col PC.

Non ho letto tutte le polemiche, so che ce ne sono state anche da parte di esponenti politici e queste ultime non mi interessano nemmeno molto. Ho letto invece lo status di una persona che conosco nel campo della tecnologia (incidentalmente il mio campo) che si strappava i capelli dicendo che dobbiamo assolutamente coinvolgere le ragazze nell’informatica, con fior di commenti da parte di suoi follower sul fatto che sì, infatti ci sono ragazze che sono bravissime a programmare, ecc.

E mi sono chiesta: ma perché? Se vedo una donna con in braccio un bambino devo per forza dedurre che non sa usare il computer? Non è che in questo momento sta facendo un’altra cosa?